Essere possibilisti si può

Essere possibilisti si puòEssere possibilisti - Francesco Tortora

Non me ne va bene una … sono una frana … non riesco in questo … Quante volte sentite parlare in questo modo le persone … e quante di queste volte pensate che sia effettivamente produttivo comunicare in questo modo? C’è un aspetto che sottovalutiamo e che ci riguarda: la nostra comunicazione interna … come dialoghiamo con noi stessi … che poi si riflette in maniera automatica sull’immagine che presentiamo all’esterno. Quando un uomo o una donna comunicano pensando male di se stessi o, comunque, con un filtro negativo … è inevitabile che le probabilità di riuscita diminuiscano in qualunque ambito dell’esistenza: con questo filtro … pensiamo per davvero di poter affrontare un compito o un’avventura con propositi positivi, di concretizzazione, di successo?Io dico … per nulla … anzi, con questo stato d’animo dal segno negativo (-) … non permettiamo a noi stessi nemmeno di iniziare. Tanto, abbiamo già deciso in anticipo l’epilogo dell’avventura! Un mezzo conoscente mi disse di essere andato a funghi e fino a qualche giorno prima gli avevano più volte detto che esistono molte specie di funghi velenosi … anche quelli simili ai normali commestibili. Tornò dalla montagna pienamente deluso e con le sacche vuote: ogni fungo, col filtro mentale che ebbe durante la ricerca, per lui rappresentava la morte. Al che pensai: <Non è che si sarebbe divertito di più andando in montagna con l’intento di trascorrere una giornata fra i boschi, anziché andare alla ricerca di funghi che non ti fanno morire?>

Queste esperienze di vita vengono vissute anche negli ambienti di lavoro: all’inizio le persone partono motivate, vanno a razzo. Nei primi giorni, i loro responsabili, ritengono di aver trovato la soluzione ai loro tanti problemi … vedendo in noi il salvagente magico. L’entusiasmo è alle stelle e si è pronti a conoscere in fretta sia l’azienda, che i prodotti ed i servizi offerti. Col passare delle giornate, sempre i responsabili, iniziano a distribuire minuziosamente i compiti che dobbiamo portare con dei risultati ben precisi. Durante questa fase iniziale si spiega il lavoro come deve essere fatto. A questo punto, pensiamo che il lavoratore abbia ricevuto tutte le informazioni e le risorse necessarie per portare a termine e al meglio il proprio dovere. All’improvviso, però, le persone si smarriscono. Vuoi perché non sono state in grado di completare quel lavoro … o vuoi perché hanno commesso qualche errore subito evidenziato (con cantilena grintosa) da parte del capo! Da questo momento l’entusiasmo scende, di pari passo cala l’autostima … ed ogni occasione è valida per confermare il fatto di non essere capaci in una certa cosa. Contemporaneamente, il capo, pensa di aver avuto un abbaglio circa il nostro da farsi … ed anch’esso diminuisce la stima lavorativa che nutriva nei nostri confronti. Praticamente … da salvagente magico … vieni trasformato a salvagente magico dai mille fori: tempo perso, pensano, avanti il prossimo … e la giostra inizia un nuovo giro.

Con questa storiella si evidenziano i problemi delle organizzazioni lavorative, le quali non si assumono alcuna responsabilità dei risultati conseguiti dai loro subordinati. Ma riflettiamo: mai possibile che una persona percepita in gamba, si trasformi in poco tempo in persona incapace? E aggiungo: <Mai possibile che su cento persone, 98 (forse 99), sono incapaci … quando poi, all’inizio, le consideravi motivate ed entusiaste a mille?> Anche la nostra organizzazione ha sofferto a causa di quanto sopra esposto e personalmente, in tante occasioni, ho pensato di avere al mio fianco persone che mai potevano fare al caso della nostra impresa. Poi un giorno, anni fa, mi sono posto una domanda … questa: <Come posso ottenere dalle persone il meglio di se stesse?> So che vorreste una riposta in due righe, ma non mi è possibile fornirvela. Però, già la sola domanda … se ve la ponete anche voi e a chi può fornirvi una mano … di per sé è di grande aiuto! Una domanda di questo genere porta la nostra mente in uno stato di persona possibilista, ovvero … essere umano che crede nelle possibilità e che come tale va a ricercarle … perché è suo intento voler migliorare ad ogni costo un aspetto, lavorativo o personale che sia!

Trovare una persona già bella e pronta non è facile, è più una coincidenza anziché una tua bravura nella fase di selezione e scelta del candidato. Per essere tale, infatti, dovrebbe avere come obiettivo lavorativo … ciò che esattamente tu, come vertice o responsabile, stai cercando! Pensa a questo: io cerco una persona che sia simile al mio modo di essere e di lavorare! All’improvviso, Dio, mi manda il mio clone! Perdonatemi, ma tutto questo può accadere realmente o è un qualcosa di pressoché miracoloso? La prima fase, quindi, è nel selezionare le persone in base alle competenze acquisite e interessate a crescere nel settore in cui operiamo. La seconda è di impartire i compiti inserendo in essi le competenze della persona. Ma c’è almeno un altro passo … la terza fase. Consiste nel sostenere le persone in ciò che fanno … cercando, nelle stesse persone, aspetti positivi su cui complimentarsi accompagnati da un forte sentimento di sincerità … per poi eventualmente aggiungere azioni correttive! La responsabilità dei risultati delle nostre risorse è nostra … anche quando, già nella fase di selezione, abbiamo scelto una persona dalle caratteristiche diverse da quelle invece necessarie per il compito da svolgere!

L’unica persona veramente simile a te è quella che ti ritrovi davanti allo specchio … a meno che tu non abbia da ridirgli qualcosa!  

Francesco

 

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